Continuano gli attacchi del governo di Ankara ai territori della Siria dell’Est, del Nord (Rojava) e dell’Iraq Settentrionale (Başûr Kurdistane)
Negli ultimi giorni di Maggio la popolazione della Siria del Nord si è svegliata con il frastuono delle esplosioni causate da un nuovo attacco da parte del governo turco.
Da settimane la Turchia sta lanciando massicci attacchi di artiglieria su aree della Siria settentrionale e orientale. Le regioni più colpite sono quelle di Minbic, Shehba e Ain Issa.
La regione di Shehba, dove vivono centinaia di migliaia di sfollati dall’area di Afrin, occupata dalle forze turche e dai suoi alleati locali – Syrian National Army – dall’agosto del 2016, è stata tra le più colpite.
Il 18 maggio, svariati villaggi nell’area sono stati infatti oggetto di bombardamenti che hanno causato gravi ferite a due ragazzi di 13 e 14 anni. Come riportato dal “Rojava Information Center”, Faris Xelef Ibrahim, di 13 anni, è stato sottoposto a un intervento di amputazione d’emergenza della gamba. Nonostante gli sforzi profusi, i medici non sono riusciti a salvargli la vita. È deceduto il giorno successivo.
Sempre secondo “Riseup 4 Rojava”, il 23 maggio, la Turchia e le truppe islamiste sostenute dai turchi nell’area, hanno difatti bombardato anche una dozzina di villaggi intorno a Minbic con più di 200 colpi di artiglieria. Un razzo ha colpito la casa di Fateem Al-Dandan, uccidendo la donna di 55 anni sul posto. Il marito è stato gravemente ferito e portato in un ospedale vicino. Anche altre cinque persone sono rimaste ferite, alcune in modo grave.
Negli attacchi turchi, oltre alle aree abitate civili, sono stati colpiti svariati terreni agricoli portando alla distruzione di una significativa parte del raccolto agricolo nelle regioni vicine all’Eufrate a causa di vasti incendi. L’area vive prevalentemente di agricoltura e la tattica turca di bersagliare anche tali aree è ormai utilizzata da anni per colpire l’economia locale.
Il Movimento della Società Democratica (TEV-DEM) ha rilasciato una dichiarazione scritta in merito all’escalation di attacchi dello Stato turco contro la Siria settentrionale e orientale,
comunicando che “il governo turco conduce una politica di attacco contro tutto. È la continuazione della politica di genocidio politico contro il nostro popolo”. La denuncia del TEV DEM sottolinea inoltre che “distruggere e bruciare le infrastrutture agricole significa abbattere l’ economia sociale”. L’obiettivo turco è chiaro, “spezzare la volontà dei cittadini e togliere loro il diritto alla vita”.
Gli ultimi attacchi rientrano in una strategia di guerra a lungo termine contro l’ Amministrazione Autonoma democratica del Nord est della Syria (AANES) e le sue popolazioni. Negli ultimi dodici anni infatti l’attitudine politica della Turchia nei confronti dell’autonomia nell’area si è basata essenzialmente sul blocco economico dell’intera zona geografica, persistenti tentativi di isolamento internazionale ed il sostegno continuo a varie milizie jihadiste della grande galassia dei gruppi cosiddetti ribelli in guerra contro il governo di Assad, oltre che allo Stato Islamico, in chiave antirivoluzionaria. Oltre a queste caratteristiche, si contano anche tre invasioni militari che hanno portato, come scritto poco sopra, all’occupazione del cantone di Afrin ed alla formazione della cosiddetta “zona cuscinetto” tra una parte della Turchia e della Syria settentrionale; de facto un’ulteriore occupazione del territorio prima appartenente alla AANES.
Ma gli sforzi bellici turchi degli ultimi anni non si sono fermati ad attacchi, invasioni e continue minacce al territorio del Nord e dell’Est della Syria, bensì si sono estesi anche alle regioni curde del Nord dell’Iraq, Başûrê Kurdistanê, amministrati dal KRG – Kurdistan Regional Government, causando nell’area svariati morti tra le popolazioni civili dell’area. Secondo un report pubblicato dall’organizzazione “CPT (Community Peacemaker Teams)”, la Turchia avrebbe colpito il territorio curdo 358 volte solamente tra il primo Gennaio ed il primo Aprile del 2024, con il risultato di 14 vittime civili tra le quali otto persone uccise e sei ferite.
Ad esse si aggiungono una giovane vittima chiamata Muhammed Said, ucciso da un drone turco nella notte tra il 13 ed il 14 Aprile nel villaggio di Gallale, parte del distretto di Şarbajêr (Sharbazher) nel governatorato di Sulaymaniyah e Sarwar Qadir, 46 enne colpito durante un bombardamento a Nawirdarok, nel sub-distretto di Sidekan, governatorato di Erbil. Said era di Sulaymaniyah e si era recato nel villaggio montano per lavorare mentre Sarwar abitava nel villaggio ed al momento della sua uccisione era alla guida della sua auto. Era un peshmerga e padre di tre figli. Non è la prima volta che Ankara colpisce le aree di Khakurk ed il villaggio di Gallale, già a Gennaio, come riportato dall’agenzia stampa curda “Medya News”, un jet turco prese di mira la casa di Ebdûlqadir Husên Tale, uno degli abitanti del villaggio, senza fortunatamente causare vittime.
L’intensificarsi degli attacchi turchi arriva a margine degli incontri tra Erdoğan ed il primo ministro iracheno Mohammed Shia‘ al-Sudani avvenuto in Iraq – il primo di un leader turco dal 2011 – ed al successivo con il Presidente del KRG Nechirvan Barzani ed il primo ministro Masrour Barzani a Erbil. Quest’ultimo atto a rafforzare le relazioni con il clan Barzani ed il suo partito (KDP – Partito Democratico del Kurdistan) intensificandone la cooperazione nella lotta al PKK (Partito dei lavoratori del Kurdistan), comune nemico nell’area.
Ankara e Baghdad hanno concordato un quadro di intese strategiche per la sicurezza, il commercio e l’energia, nonché un accordo decennale sulla gestione delle risorse idriche. Il memorandum viene siglato ad aprile dopo una lunga serie di incontri tra rappresentanze di entrambi i paesi tra il 2023 ed il 2024. L’incremento delle relazioni diplomatiche è dovuto in parte alla volontà turca di portare a termine accordi stabili sul progetto “Iraq Development Road”, che prevede la costruzione di un collegamento ferroviario e stradale di 1.200 km dal porto iracheno di al Faw, a Bassora, fino al confine con la Turchia, al fine di facilitare una ripresa economica nazionale urgentemente necessaria ad Ankara. A marzo di quest’anno, difatti, a seguito di un incontro sulla sicurezza con una delegazione turca a Baghdad, Il Consiglio di sicurezza nazionale iracheno ha annunciato, dopo vari incontri sulla sicurezza nella regione con delegazioni turche a Bagdad e senza l’approvazione del Parlamento, che al PKK sarà vietato operare nel Paese.
A causa dei continui attacchi turchi, già 161 villaggi della regione sono stati evacuati con la forza e altri 602 rischiano lo sfollamento. Tutto ciò per un’imminente invasione dell’esercito turco nell’area, atta a creare – così come avvenuto nel nord della Syria – una cosiddetta ulteriore zona cuscinetto lunga 40 km sul confine tra il paese anatolico, la Syria e l’Iraq, nonostante Ankara stia già attualmente occupando parte di tale regione. Sono infatti almeno 87 le basi militari turche e le reti stradali militari estese costruite da Ankara a profondità comprese tra i 5 e gli 80 chilometri dentro il territorio iracheno. Secondo quanto riportato dall’agenzia ANF il Comitato per le Relazioni Estere della KCK (Unione delle Comunità Democratiche del Kurdistan), dopo i recenti sviluppi nel territorio, ha messo in guardia da una guerra turca contro il Kurdistan meridionale e l’Iraq e ha invitato tutte le organizzazioni locali a rifiutarsi di partecipare alle richieste di genocidio dello Stato turco, proclamando “Lo Stato turco sotto il capo fascista Erdoğan è la più grande minaccia alla sicurezza dell’Iraq”.
G. Azadi